La Chiesa di San Rocco e la misteriosa nicchia


In un suggestivo contesto paesaggistico va inserita la protagonista di questo articolo: la chiesa di San Rocco, ubicata su una diramazione della via Francigena, lungo la strada che conduce al castello e ai laghi. L’area collinare sulla quale sorge è geologicamente importante per la presenza di una linea di faglia chiamata “linea insubrica”, espressione dello scontro tra la placca europea e quella africana che ha favorito la formazione delle Alpi.
Notizie certe sull’edificazione della chiesa non ne abbiamo scoperte. Le uniche attendibili ci riportano ad una cappella aperta sul davanti chiusa da un cancello di legno, ampliata successivamente dalla navata centrale probabilmente nel 1600 e da un porticato esterno nel 1800.
La sua dedicazione a san Rocco risale proprio al 1600, periodo in cui si verificò una devastante epidemia di peste bubbonica. Secondo la concezione del tempo, dedicare una chiesa ad un Santo rappresentava l’unica possibilità per richiederne la sua intercessione e protezione.
Dopo un lungo periodo di totale abbandono e conseguente degrado, nel 1997 la chiesetta venne ripristinata ad opera dell’Associazione Alpini di Montalto Dora così come gli affreschi interni di anonimo pittore, di pregevole fattura manieristica, risalenti alla fine del 1400, inizio 1500.
Con dovizia di particolari simbolici ammiriamo la Madonna con Bambino, san Cristoforo, san Rocco, san Sebastiano, sant’Antonio Abate, Gesù quale Ecce Homo, e un santo Vescovo che riteniamo trattarsi di san Biagio. L’agiografia, ovvero lo studio della vita dei Santi, riveste sempre un ruolo di fascino e mistero. Perché, dunque, non dedicare spazio anche alla loro descrizione?
Inizierei dal Santo più importante, san Rocco al quale è dedicata la chiesa.
La storia, o per meglio dire la leggenda, riporta che, su intercessione di un angelo, Rocco benediva gli appestati con il segno della croce ed essi guarivano. Viene raffigurato in atto di mostrare una piaga sulla gamba, segno del contagio che lo colpì a Piacenza. Per non contagiare le genti egli si rifugiò in una grotta.
Ogni giorno un cane, mandato dal suo padrone il nobile Gottardo Pallastrelli, gli portava un tozzo di pane ed è proprio per questo che Rocco viene raffigurato con un cane ai suoi piedi.
Col suo nome viene chiamata anche un’altra malattia: la calicosi (dal greco calce) forma di pneumoconiosi, affezione ai polmoni, causata dall’inalazione del pulviscolo di calce, detta anche malattia degli spaccapietre.
A tal proposito va ricordato che a Montalto era attiva, fino a qualche anno fa, una cava di calce. Gli attributi di san Rocco sono il bastone e la conchiglia sul mantello, simboli del pellegrino, nonchè il cane e la piaga sulla gamba.
Accompagnato a san Rocco è san Sebastiano, centurione romano convertitosi al cristianesimo e per questo martirizzato trafitto dalle frecce dei suoi commilitoni, legato ad un albero.
Essendo le frecce simbolo della peste, il Santo diventò anche il protettore degli appestati insieme a san Rocco.
Ma tra tutti i Santi, la figura più appariscente è senza dubbio quella di Cristoforo, anch’esso protettore dei pellegrini la cui possente immagine veniva posta sulle facciate delle chiese in modo da essere vista già da lontano.
L’affascinante storia di san Cristoforo come traghettatore del Bambin Gesù da una sponda all’altra di un fiume impetuoso, che iconograficamente sostiene sulla spalla, crea i presupposti per ulteriori interessanti elementi simbolici che in questo contesto non è possibile approfondire.
Nello stesso affresco troviamo sant’Antonio Abate di origini egiziane, padre dei monaci anacoreti, raffigurato con sembianze di vecchio eremita barbuto, sostenuto dal suo bastone a forma di T, la croce a tau degli antichi egizi alla quale attribuivano valore simbolico di vita futura. Il Santo reca in mano una campanella, allusiva alla questua che la congregazione ospedaliera degli Antoniani faceva al richiamo di una piccola campana.
Il simbolo di sant’Antonio Abate è il maiale poiché rappresenta l’animale dal quale si ricavava il grasso usato come unguento per la cura del fuoco di sant’Antonio, affezione cutanea dolorosa causata dal virus dell’herpes zoster.
Il Santo è invocato contro tale malattia e anche contro le piaghe e la peste, venendo per questo associato a san Rocco.
Sotto un baldacchino, tra i santi Rocco e Sebastiano c’è san Biagio vescovo e martire.
I soldati dell’imperatore romano Licinio lo imprigionarono.
Rifiutatosi di abiurare la sua fede cristiana, venne scorticato vivo con un pettine di ferro, utilizzato per cardare la lana, e poi decapitato. Secondo la tradizione, Biagio salvò la vita ad un bambino che stava soffocando dopo aver ingerito una lisca di pesce, imponendogli le mani.
Da allora è invocato come protettore contro il mal di gola, oltre ad essere anche il protettore dei cardatori di lana a ricordo del suo martirio.
Nell’affresco mostra come suo attributo proprio un rastrello.
Ma, la protagonista assoluta, immortalata ben tre volte nelle pitture murali è la Vergine Maria col Bambino benedicente, seduta in trono, inserita in elementi architettonici e simbolici di notevole rilevanza.
In una di queste raffigurazioni è denominata Madonna del Latte, legata  alla conversione di san Bernardo di Clairvaux (la Chiaravalle francese).
Narra la leggenda che un giorno, passando davanti all’effige di una Madonna del latte egli le chiese: “Ma tu sei davvero madre?” ed essa le schizzò del latte in viso.
Va ricordato che san Bernardo fu sostenitore spirituale dei Templari ed autore della regola dell’Ordine. Già.. i mitici Templari, monaci soldati posti a difesa dei pellegrini verso i luoghi di fede.
Innumerevoli sono le testimonianze del loro passaggio ed anche la nostra chiesetta mostra i segni di un neotemplarismo.
Uno di questi è la già menzionata Madonna del latte, alla quale segue la possente figura di san Cristoforo caro ai Templari che lo tenevano  in grande considerazione tanto da considerarlo protettore contro gli spiriti del male.
Particolare interessante è la croce posta sul pomo sostenuto dal Bambin Gesù in braccio a san Cristoforo, corrispondente alla croce peduncolata templare.
Riguardo a sant’Antonio Abate,  alcuni studiosi affermano che i monaci antoniani appartenevano ad un’organizzazione ospitaliera templare, tantè che il tau è una delle croci adottate dai Templari.
E che dire di san Rocco, raffigurato per ben tre volte?
Il primo affresco lo mostra con la ferita sulla gamba sinistra; nel secondo la ferita è sulla gamba destra; nel terzo è  nuovamente a sinistra.
E’ da escludere un errore del pittore, vista la complessità e la rilevanza degli elementi simbolici che ha inserito negli affreschi.
Se poi aggiungiamo che nell’iconografia cristiana san Rocco mostra sempre la ferita sulla gamba sinistra salvo rare eccezioni, allora la scoperta diventa sempre più intrigante e ci porta inevitabilmente al pensiero di Renè Guènon, maestro spirituale della filosofia esoterica occidentale oppure, ancora una volta, tiriamo in ballo i Templari! Ma le curiosità non sono di certo finite!
Al centro delle costolature sopra l’altare emerge un altro particolare meritevole di approfondimenti, un tondo a disegno floreale chiamato “Seme della vita” che compone il “Fiore della vita”.
Tale disegno geometrico venne scoperto ad Abydos in Egitto, luogo di iniziazioni, e rappresenta il più antico e potente simbolo di vita e resurrezione che l’uomo abbia a disposizione per comprendere lo schema della creazione e la costruzione geometrica dell’universo.
E’ composto da 6 petali interni uniti da 6 esterni circoscritti in un cerchio.
Lo ritroviamo nell’arte celtica e ancor più anticamente in quella assiro-iraniana come elemento augurale di vita eterna.
Nelle culture popolari veniva raffigurato a scopo scaramantico per tener lontani gli spiriti maligni.
Bisogna tener presente che la realizzazione di un disegno simbolico avviene mediante un simbolo motore: nel caso specifico del “Seme della vita” è la “Vesica piscis” la cosiddetta mandorla mistica presente nell’iconografia cristiana medievale che circonda Cristo e la Vergine.
Si ottiene intersecando due cerchi e simboleggia il punto nel quale forze e mondi separati si dividono e al tempo stesso s’incontrano.
Le 6 pennette potrebbero rappresentare i sei giorni della Creazione perché tradizionalmente il 6 simboleggia il “cosmo”.
Il tondo in questione è inoltre considerato uno dei più potenti simboli templari, simbolo di protezione talmente positivo da venir raffigurato, a volte, accanto alla croce dell’Ordine.
Basterebbero queste ricerche a rendere interessante la nostra chiesetta se non fosse che…..
Un giorno, durante i lavori di restauro delle pitture murali, celata dietro una parete inserita in una parte del muro absidale emerse una nicchia, piccola, cubica, misteriosa, al cui interno è raffigurato un particolare pittogramma: una doppia ruota raggiata formata rispettivamente da 8 e 16 raggi che si uniscono ad un reticolo laterale.
Vi lascio immaginare, gentili lettori, quale fu la nostra sorpresa e meraviglia!
Deducemmo subito, dall’imprecisione delle linee tracciate in ocra rossa, che il disegno fosse stato eseguito a mano libera e da qualcuno che non voleva certo dimostrare abilità artistica, ma semplicemente raffigurare un simbolo il cui scopo era racchiudere un significato specifico e una funzione ben precisa che andava occultata.
Questi due disegni (la doppia ruota ed il reticolo laterale) furono, e sono tuttora, oggetto dei nostri studi.
La prima domanda che ci siamo posti è perché siano proprio 8 i raggi interni e 16 quelli esterni.
La risposta ce la offre la religione cristiana visto che per essa l’8 è un numero estremamente importante.
E’ un numero celeste legato alle beatitudini e numero dell’equilibrio cosmico in quanto 4 sono le direzioni cardinali e 4 quelle intermedie.
I fonti battesimali sovente sono ottagonali e simboleggiano la rinascita.
L’8 è anche un numero mariano e precisamente di Maria come regina dei cieli, Maria raffigurata in trono per ben tre volte negli affreschi della chiesa.
Infatti ne era il simbolo tipico degli architetti monaci dell’Ordine Cistercense di Citeaux che ornavano con rosoni e vetrate a 8 spicchi cattedrali in onore di Maria, Nostra Signora.
Il numero 16 che è il quadrato di 4, rappresenta la Terra il cui numero simbolico è 4, la Terra come punto di partenza per l’ascesa verso il Cielo.
Ma torniamo al valore simbolico della doppia ruota e del reticolo laterale.
Chi non ama porsi troppe domande ed intraprendere studi complessi, lo potrebbe semplicemente definire un simbolo religioso oppure apotropaico avente la funzione di scongiurare influenze maligne.
Chi invece, come noi, si prefigge di studiarlo più a fondo, allora ha di che divertirsi ad iniziare dal fatto del perchè esso sia stato collocato nel luogo più sacro della chiesa e successivamente occultato.
Ciò crea il presupposto per queste domande: perché è stato nascosto?
Cosa rappresentava?
Un percorso religioso alla stregua dei labirinti posti nelle cattedrali, o di tipo iniziatico?
Raffigurazioni simili quali ruote cosmiche sono proprie di molte tradizioni religiose orientali ed occidentali a partire dalla preistoria, protostoria sino ad arrivare alla storia.
E, ancora una volta, per interpretare un simbolo ci viene in aiuto Guènon e la tradizione ermetica.
Dal momento che i simboli sono considerati supporti per la meditazione, essi riassumono dei percorsi mentali che partendo dalla realtà tendono ad una meta spirituale.
Due ruote, dunque, che potrebbero rappresentare quel percorso spirituale che partendo dalla Terra conduce al Cielo, al Paradiso Terrestre.
Altre svariate ipotesi sono state formulate a tal proposito ed anche in considerazione ad uno studio globale della chiesa come, per esempio, quelle relative all’archeologia rabdomantica.
A detta degli esperti essa è situata in un luogo particolarmente carico di energia positiva e le linee sincroniche attraversano completamente l’edificio in direzione Est-Ovest.
Da queste e molte altre considerazioni e studi è nato un libro, un romanzo storico dal titolo “Atanor password templare sentiero dell’anima” realizzato dalla scrivente e dal dottor Vincenzo Di Benedetto.
Eventi fantastici e storici ruotano intorno al viaggio di un monaco attraverso abbazie, cattedrali e castelli lungo la via Francigena, un cammino iniziatico verso i più alti misteri dell’esistenza e della fede, un connubio tra Monaci, Templari ed Alchimisti.
Dall’alto del roccione sovrastante l’edificio sacro un’incisione a forma di stella a quattro punte veglia costantemente sulla chiesetta insieme ad altri segni litici, testimoni di un antico vissuto.
Così,  dopo anni, essa continua a regalarci emozioni anche quando la apriamo al pubblico durante le visite guidate o in occasione di eventi teatrali e culturali organizzati dall’Associazione storico-culturale LUCI di Montalto Dora. 

 

Luciana Banchelli   Presidente  Associazione Luci  
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