Le Edicole votive di Montalto Dora

Articolo pubblicato sulla rivista AVIS maggio 2006

A sfidare l’inclemenza del tempo sono le edicole votive disseminate lungo i sentieri collinari di Montalto Dora. Antiche vestigia del passato, espressione di religiosità popolare, fatte erigere da privati montatesi all’incrocio di sentieri o lungo il perimetro delle loro proprietà. Testimoniano devozione, o riconoscenza per grazia ricevuta, alla Madonna e ai Santi,  richiedendo, al contempo, protezione del proprio podere. L’edificazione di queste cappellette contribuiva altresì ad abbellire la zona, mentre offriva ai contadini l’opportunità di una sosta per pregare e ritemprarsi spiritualmente dalla fatica di un duro lavoro.
Ma, esse, costituiscono anche un punto di riferimento segnato sulle mappe topografiche. Se ne contano circa una decina rilevate soprattutto lungo la strada delle vigne che conduce verso il lago Pistono. Sono simili sia per dimensioni che per tipologia architettonica ed iconografica quali opere di artisti minori, pittori locali rimasti anonimi ma abili nell’arte figurativa. Raramente sono i Santi a dominare la campitura: circondano Gesù crocifisso, o più solitamente la Madonna, massimo tramite verso Dio. Ricorrente è invece una Croce, simbolo di salvezza e redenzione del genere umano mediante la morte e resurrezione di Gesù. Ma è l’immagine della Vergine Nera d’Oropa ad essere maggiormente rappresentata. Infatti, dal 1600 ad oggi, Montalto rivive il pellegrinaggio annuale al santuario biellese percorrendo sentieri collinari di suggestiva bellezza. Ed intanto la Vergine Bruna continua ad esercitare il suo fascino legato al mistero dell’origine a cominciare dal termine “vergine” di derivazione indoeuropea dal significato di “forza, potenza”, al colore nero che richiama reminiscenze precristiane.
Negli anziani del paese è ancora vivo il ricordo del Salmi officiati il lunedì, martedì e mercoledì precedenti la festa dell’Ascensione a carattere propiziatorio per la fecondità della terra. E’ stata mia mamma Piera a ricordarmi che al termine della prima messa officiata nella parrocchiale di san Eusebio, il prete, accompagnato da una modesta processione di fedeli per lo più giovani, poiché il cammino da intraprendere era lungo e faticoso, si recava sulle colline del paese, in campagna, ovunque ci fosse una croce o un’edicola votiva. Impartiva la benedizione a vigne e campi, invocando la protezione divina al fine di scongiurare eventi meteorologici nefasti quali siccità o grandine ed assicurare quindi buoni raccolti. Queste cosiddette “rogazioni” termine latino che significa “preghiera, richiesta”, sono di matrice romana quanto la “lustratio pagi”, lustrazione dei villaggi, viaggi rituali di espiazione e purificazione che si svolgevano entro i confini del paese. Erano proprio i piloni e le cappellette votive a segnare tappe e soste di preghiera dei percorsi di fede.
La processione dei Salmi si concedeva una sosta a metà strada in regione Montesino, tanto da permettere ai fedeli un po’ di meritato riposo. Le priore di sant’Eusebio ne approfittavano per donare un sacchettino di caramelle alla canterine e alle ragazze che portavano la croce durante processioni e funerali. Gli uomini invocavano i Santi menzionandoli uno ad uno facendo seguire un “ora pro nobis”, invocazione replicata dalle donne. Poi, il corteo faceva ritorno verso la parrocchiale, inneggiando alla Madonna, non prima però di soffermarsi ancora per un’ave davanti alla chiesetta di san Rocco. Venivano ricordati i santi della peste, Rocco e Sebastiano, dipinti nei mirabili affreschi quattrocenteschi, mentre veniva recitata una preghiera per tutti quei morti falciati dal morbo e che riposano da secoli in un presunto, piccolo cimitero adiacente la chiesa.
Ora, alcune di queste cappellette, semplici attestati di fede, sono vestigia decrepite tenute ancora salde dall’edera che vi si abbarbica tenace. Non è più tempo di mani ruvide e callose che vi deponevano in estate fiori raccolti lungo i fossati e in inverno rami di pungitopo dalla bacche scarlatte! Fortunatamente alcune edicole sono scampate al degrado. Ben restaurate, conservano ancora affreschi coevi. In esse non è raro vedere all’interno un vasetto, o anche solo un barattolo di latta, contenere un mazzolino di fiori freschi o finti, o un lumino acceso che rischiara la notte.
In zona Ronchesse ne sorge una attualmente ben conservata. Vi è raffigurata la Madonna d’Oropa affiancata da san Bernardo e santa Caterina. La sua edificazione è sicuramente ottocentesca e la dedicazione a tali santi richiama i nomi dei committenti stessi: Bernardo e Caterina Berton Giachetti.
Iconograficamente santa Caterina indossa l’abito delle suore della penitenza, le mantellate, regge il giglio o il crocifisso; in altre rappresentazioni i suoi attributi possono essere il cuore, un libro o le stimmate. Nata a Siena nel 1347, a soli sedici anni entrò nel convento delle suore di san Domenico conducendo vita ascetica e prestandosi in opere di assistenza presso lebbrosari ed ospedali. Ebbe un ruolo importante nella vita politica quale negoziatrice per la fine del conflitto tra la città di Firenze ed il Papato. Dopo tribolate vicende riuscì a riportare a Roma la sede papale. Propugnò anche una Crociata per la conquista della Terrasanta.
Di origine francese era invece San Bernardo. Nel 1091, all’età di ventidue anni, abbandonò le tentazioni del mondo e cospicue ricchezze per una vita monacale, persuadendo anche i suoi parenti a farsi frati cistercensi. I suoi proseliti divennero tanto numerosi da dover edificare nuovi monasteri primo tra i quali l’abbazia di Clairvaux, la Chiaravalle francese. Questo nome fu esteso a numerose località italiane dove sorsero monasteri cistercensi. Bernardo predicò la seconda Crociata, impedì che avvenisse uno scisma nella Chiesa e combattè contro alcuni eretici. L’amore per la Madonna lo sorresse e lo confortò fino all’ultimo giorno della sua vita: correva l’anno 1153.
Percorsi terreni e spirituali alquanto simili quelle dei santi Caterina e Bernardo, entrambi proclamati Dottori della Chiesa.
Altre edicole montatesi furono edificate su consistenti ammassi rocciosi di probabile utilizzo pagano. Forse, estirpando rovi ed edera, si potrebbero ancora rilevare segni di culto precristiano quali coppelle o canaline per la raccolta di offerte votive alle divinità. Interessante, su una di esse, è una croce a più raggi quale indicazione dei punti cardinali.
Un’altra curiosità: lungo la strada che dal lago Pistono conduce a Chiaverano ne sorge una dedicata a santa Luigia. Un tempo si leggeva chiaramente questo monito: “A peste, fame et bello libera nos Domine”, dalla peste, dalla fame e dalla guerra liberaci o Signore.

Luciana Banchelli